Vicenza, 6 gennaio 2021 – «Io credo che quando i giornalisti e più in generale i commentatori dei fatti della criminalità organizzata vengono a conoscenza di una determinata inchiesta sarebbe buona cosa non concentrarsi sul nòcciolo delle sole fattispecie penali ma occorra scandagliare anche il reticolo delle relazioni che si sono instaurate e si instaureranno sulla scorta di una indagine o di una operazione di polizia. Sembrerà una banalità ma si tratta di un fondamentale che non bisogna dimenticare mai, soprattutto per chi ha l’ambizione di dare una lettura sociale e antropologica del fatto criminale».
A parlare in questi termini è Alessandro Ambrosini (nella foto). Vicentino, ideatore e «chief quartermaster» del magazine on-line Nottecriminale.news, Ambrosini di recente ha firmato un lungo approfondimento (vedi link in fondo all’intervista) in cui tra le tante affronta il tema «spinosissimo» della pervasività delle organizzazioni criminali nella Capitale: tuttavia nei meandri della sua ricerca Ambrosini ha scovato un anfratto vicentino.
Dunque Alessandro, di recente il tuo magazine ha dato la notizia della presenza di un sodale del potente clan camorristico dei Senese nel Vicentino, di chi si tratta esattamente?
«Bisogna tornare al dicembre del 2020, quando i carabinieri del Ros di Roma portano a termine un operazione con ventinove arresti nell’ambito del clan Senese. Un gruppo di camorra romana cappeggiata da Michele Senese detto ‘o pazzo. Il vero re della Roma criminale. Nella lista degli indagati ho notato un personaggio particolare, un sodale, chiamiamolo così, rispetto al clan. Un sodale nato a Catanzaro, con residenza nel Vicentino».
Si tratta, a tuo modo di vedere, di un dettaglio che conta?
«Direi proprio di sì».
Come mai? In che comune risiedeva l’uomo? Per che cosa è indagato? A quali ambienti sarebbe legato?
«L’uomo è un cinquantenne con residenza a Thiene ed è indagato per aver coperto la latitanza di un affiliato al clan camorristico dei Sarno, in collaborazione con un uomo del clan Senese. Ora, definire questo, a tutti gli effetti, un soldato dei Senese forse è sbagliato. Non è facile trovare nei clan di camorra dei calabresi, se non per fare da collante con le cosche ‘ndranghetiste nei traffici di stupefacenti. Per questo è subito balzata all’occhio questa persona che con le dovute proporzioni in qualche modo può essere appunto definita un sodale thienese del clan camorristico che domina a Roma».
Che cosa può rappresentare la presenza di costui nell’Alto vicentino?
«Questa è una bella domanda. Può rappresentare sicuramente ciò che per molti camorristi o ‘ndranghetisti rappresenta il Veneto».
Cioè?
«Un luogo sicuro e tranquillo dove operare senza troppi fari puntati. Anche se le operazioni della Dda degli ultimi anni sembrano raccontare altro.
Il Veneto e il Vicentino, sono territori particolarmente apprezzati dalle organizzazioni criminali.
«Sì. Basterebbe pensare al caso di un superboss come Piddu Madonia, arrestato a Longare nel 1992 dalla squadra mobile di Vicenza: un fatto e un nome sempre sottostimato, rispetto all’effettivo valore criminale. Senza tralasciare il fatto, uno fra i tanti, che, nell’Alto vicentino, fu mandato a farsi le ossa a diciotto anni, un soggetto che poi diventerà capo di una ‘ndrina di Crotone: ora quell’uomo è divenuto un collaboratore di giustizia».
Questa presenza in terra berica, in una porzione della nostra provincia che peraltro è interessata anche ad alcune grandi opere come la Spv e che è terra in cui gli affari alto di gamma non mancano, che cosa può significare?
«Può rappresentare anche una entrata in scena in grande stile, nella nostra provincia, di un clan fortemente emergente come i Senese. Se da anni comandano gli assetti criminali a Roma, forse hanno deciso di allargare i propri orizzonti territoriali. Loro, come clan, erano già nel Veneto da alcuni anni. Sia per il riciclaggio, comperarono tramite un’azienda veronese tranche da duecentomila euro di capi d’abbigliamento della Colmar e della Disquared, che per l’usura».
In momenti come questi a che cosa debbono prestare particolarmente attenzione forze dell’ordine e magistrati?
«Oggi, con il coronavirus che imperversa nelle nostre vite, i pericoli sono molteplici e le forze dell’ordine devono avere le antenne sempre rizzate verso l’alto per captare ogni segnale».
Sarebbe a dire?
«Bisogna partire da alcuni presupposti: noi, come Veneto, siamo già economicamente dopati dalle organizzazioni criminali, da decenni. Sia da capitali sporchi che vengono iniettati nella nostra economia per essere riciclati, sia per sopperire al bisogno di liquidità delle aziende. Liquidità sempre più difficile da reperire nei canali creditizi regolari».
Con quali conseguenze?
«Con le difficoltà di oggi, che vengono ad aggiungersi a due crisi mondiali, tutto è a buon mercato nel nostro territorio».
Una specie di banchetto rispetto al quale non va dimenticato il tema delle ecomafie. O no?
«Esatto. Ma più in generale si tratta di un banchetto cui partecipano tutte le forme di criminalità. Un piccolo cameo: anche gli ex della Banda della Magliana, da anni, prestano a strozzo nel Veneto. Oggi non c’è tregua, anzi».
Senti Alessandro l’affresco che hai tratteggiato ricorda per alcuni aspetti i romanzi di Massimo Carlotto. O no?
«Che cosa vuoi che ti dica. Carlotto spesso e volentieri ha raccontato una realtà romanzata assai verosimile. E poiché lo scrittore molto si avvicina alla realtà è anche comprensibile che chi come me quest’ultima la racconta dal vero possa illuminare degli ambiti sovrapposti con la narrativa. È nella natura delle cose».
Parlando di Carlotto, lo scrittore è stato uno dei principali sceneggiatori de L’alligatore, la fiction Rai-Fandango ispirata giustappunto al lavoro dell’autore padovano la quale di recente è andata in onda proprio sulla tv di Stato. Hai visto la serie? Che effetto ti ha fatto vedere quelle storie ambientate tra Veneziano, Padovano e Vicentino? E che giudizio dai della coproduzione?
«L’alligatore è forse uno dei migliori prodotti della Rai, sicuramente del 2020. Una vera perla plasmata da un lavoro, quello di Carlotto, di grandissimo livello».
Perché?
«Dalle storie ai personaggi, dai paesaggi alle musiche è un Veneto che riconosco. Un Veneto visto contemporaneamente dalla facciata, ma soprattutto dal retrobottega, anzi dagli interstizi tra un retrobottega e un altro. Peraltro per alcuni versi anche la storia dell’Alligatore me la sento addosso: forse per l’abitudine a trattare da vicino certi ambienti criminali».
È il Nordest, o meglio il Veneto col marchio di fabbrica di Carlotto quindi?
«Sì, senza dubbio. È un Veneto reale più di quanto pensiamo. Carlotto coi suoi romanzi ha creato un vero prodotto real noir, come dicono i britannici. Dietro a ogni storia ci sono personaggi e fatti ripresi dalla realtà e colorati con la fantasia. Ma il lettore attento li può facilmente riconoscere».
Ha fatto bene la Rai a inserire subito la serie sulla sua piattaforma per lo streaming digitale?
«Ha fatto benissimo; è un prodotto di qualità che così sarà apprezzato anche da chi è un po’ più giovane di noi due».
QUI l’approfondimento su NOTTECRIMINALE.NEWS
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