Vicenza, 31 maggio 2022 – Il caso di Sara Pinna, la conduttrice di Tva Vicenza sbertucciata dai media di mezz’Italia (RaiNews) per una uscita considerata disdicevole e razzista rivolta ad un bambino durante il dopo partita del match tra il Cosenza e i biancorossi ha preso una piega surreale. E non tanto per dileggio che ha investito la città del Palladio, quanto per come la vicenda è stata gestita proprio da alcuni protagonisti.
Anzitutto è necessaria una premessa. La Pinna non ha proferito alcuna frase a sfondo razzista: bensì classista. E il classismo è molto peggio del razzismo perché, sul piano generale, punta a colpire in modo meschino e vile una persona o un gruppo in ragione della apparenza ad un determinato ceto sociale. Il che, pur essendo la conduttrice di origini meridionali, la connota in modo dannatamente veneto: almeno relativamente a quella parte dei veneti per cui in cima della piramide esistenziale inevitabilmente c’è il ben noto «articolo quinto» in ossequio del quale «chi che ga i schei ga senpre vinto».
In secundis Pinna non è una giornalista. Ergo, poco si comprende come il vertice editoriale abbia deciso di affidarle una trasmissione. Nell’ambito della quale l’inviato Andrea Ceroni, che invece fa il giornalista ed è quindi soggetto ad un codice di disciplina professionale non paragonabile a quello, se ne esiste uno, cui è soggetta la conduttrice, si è trovato nella condizione paradossale di dover commentare l’accaduto ben sapendo come de facto, ci si passi l’espressione al grezzo, sia la Pinna la di lui capa: la quale è per l’appunto non è iscritta all’Ordine dei giornalisti.
La cosa deve comunque aver pesato umanamente sul povero Andrea che intervistato da Open (Open Online) è parso molto imbarazzato: cosa umanamente comprensibile peraltro. Va però ricordato come il collega, al di là di una difesa d’ufficio un po’ sgangherata nei confronti della collega di network, sempre ad Open abbia, com molta prudenza per carità, criticato anche la sua emittente per il ritardo con cui quest’ultima ha preso le distanze dalla stessa Pinna.
Ad ogni buon conto la situazione era così compromessa che pure la società sportiva LR Vicenza del patron Renzo Rosso ha sentito la necessità di marcare le distanze da Pinna. Tralasciamo per carità di patria l’Italiano da codice penale (Vicenzatoday.it) usato dall’ufficio stampa della società biancorossa, ma tant’è, questo è quanto passa il convento.
E qui cominciano le dolenti note non tanto rispetto a quello che è successo, ma rispetto a quanto non è successo. Il primo che avrebbe dovuto far sentire la sua voce è il direttore di Tva Gian Marco Mancassola. Il quale dall’editore dovrebbe pretendere di ricondurre la trasmissione di cui Pinna è indiscussa première dame, sotto un più ferreo controllo della redazione giornalistica. Ma soprattutto è alquanto angosciante il silenzio del direttore generale della rete Francesco Nicoli. La nota diramata da Tva in questo senso altro non è che una goffissima auto-assoluzione (Tva su Facebook); meglio sarebbe stato un imbarazzato silenzio.
Proprio il direttore generale Nìcoli avrebbe dovuto prendere la parola e annunciare a boves et oves una presa di distanza dalla conduttrice: meglio, se affiancata da una giusta censura. Perché è dai propri sbagli, quando li si fa rimarcare nel modo dovuto, che tutti noi impariamo. Se questo non è avvenuto evidentemente c’è qualcosa che va chiarito nel rapporto professionale, tra il direttore generale e la conduttrice. E questa richiesta di chiarimento dovrebbe giungere anzitutto dal comitato di redazione che voce in capitolo ne ha da vendere, se vuole.
Per ultimo ma non da ultimo un ragionamento va fatto sulla proprietà di Tva Vicenza ossia sulla Confindustria berica. La sua presidente, la dottoressa Laura Dalla Vecchia, è una persona genuina. Che è stata eletta anche per portare aria nuova e fresca in quelle stanze: una elezione che è avvenuta soprattutto grazie all’impulso di quegli imprenditori desiderosi di rimuovere alcune incrostazioni croniche che da anni accompagnano la vita associativa a palazzo Bonin Longare.
Una di queste incrostazioni, da sempre, riguarda i rapporti avvelenati in seno a Confindustria Vicenza con le testate controllate: ossia Il Giornale di Vicenza e Tva. Non è un caso che la Dalla Vecchia provenga da quella Schio, considerata il polo d’eccellenza dell’industria berica, la cui classe imprenditoriale, almeno la più lungimirante, da tempo chiede un cambio di passo.
Ecco in questo caso la voce della presidente non s’è sentita. Il motivo di questa afonia? Da un canto contano alcuni equilibri, molti sclerotizzati, che da sempre a palazzo Bonin Longare sono la regola. Ma qui c’è anche un dato umano di cui tenere conto. La presidente è troppo abbarbicata «ad una visione scledocentrica» del suo operato.
Essere presidente di una associazione datoriale così complessa e numerosa significa anche avere il compito di lasciare il porto sicuro e di salpare in mare, affrontando i pirati di primo, secondo e terzo pelo, che da tempo fluttuano tra le onde dell’arcipelago confindustriale locale. La presidente, proprio dopo questa vicenda, ha la possibilità di distinguersi per quello scatto, per quel colpo di reni, che in tanti, per i motivi più vari, si attendono da lei.
Ad ogni modo è innegabile come il nome di Pinna sia finito in coda a tutte le polemiche che hanno lambito la vicenda: una pinna caudale di polemiche si potrebbe dire in un pastiche di parole d’altri tempi. Chissà se Vicenza da questo scivolone saprà imparare qualcosa di buono.