«È un pezzo che la libertà di stampa è sotto attacco, ma non si può pensare di invertire o quantomeno contenere questa tendenza se non si ha la consapevolezza, amara per molti ma non per tutti, che una parte importante del giornalismo è organica al potere». È questo il succo uscito dall’incontro organizzato il 6 marzo 2025 a Mestrino nel Padovano presso il centro parrocchiale San Bartolomeo dal collettivo Tina Merlin. A coordinare il dibattito c’era il direttore della agenzia di stampa Lineanews.it Francesco Brasco, mentre i relatori sono stati Marco Milioni, giornalista investigativo di Today.it e di Vicenzatoday.it con Gianluca Prestigiacomo, componente del Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti del Veneto.
«Da mesi sui quotidiani – dice Brasco – abbondano gli articoli che scandiscono i provvedimenti di legge che sono alla base di un disegno mirato a limitare la libertà di stampa e più in generale il pensiero dissenziente». Divieto di pubblicare alcuni atti giudiziari, effetti della legge Cartabia, effetto della direttiva europea sul diritto all’oblio, multe salatissime per chi si limita a raccontare il lavoro degli inquirenti. Sono alcuni degli aspetti pensati per imbrigliare chi ha intenzione di svolgere con scrupolo la propria professione anche in considerazione che una corretta informazione è un elemento chiave in una democrazia che si vorrebbe sana. A queste magagne poi vanno aggiunti i rischi delle querele intimidatorie o delle azioni civili dello stesso segno. «Che sono possibili perché il legislatore, sebbene alle Camere la categoria dei giornalisti è ben rappresentata, si guarda bene dal correggere le storture delle norme in vigore». Questo è, alla grossa il ragionamento del coordinatore del Tina Merlin, un collettivo informale creato proprio per stimolare «anche con l’aiuto dei cittadini interessati la riflessione sul ruolo dei media».
Una delle radici del problema però, secondo Milioni, va ricercata più indietro nel tempo. Quando negli anni Ottanta con un pronunciamento delle sezioni riunite della Cassazione in materia di diffamazione «si sono posate le fondamenta di un edificio fatto di norme e di prassi che anno dopo anno è divenuto sempre più opprimente. I poteri costituiti – rimarca Milioni – a partire da quelli economici, per non parlare di settori della politica, della magistratura, dell’avvocatura, dei servizi segreti, delle gerarchie militari e vaticane, delle mafie, sono costantemente all’opera per depotenziare, se non per sabotare, il lavoro di chi, con incisività, correttezza e onestà intellettuale ha intenzione di fare luce sulle zone d’ombra della società». Tra l’altro è la prospettiva complessiva a preoccupare Milioni. Secondo il quale in uno scenario di guerra o di pre-guerra «come quello che stiamo vivendo alcuni argomenti per l’informazione sono ormai da tempo di fatto off limits».
Tuttavia è in ragione «della inerzia se non della connivenza di una parte della categoria dell’informazione con questi ambienti che il giornalismo diventa ogni anno più asservito».
Un paio di esempi? «Le polemiche recenti che hanno investito Report dopo che gli inviati della Rai hanno affrontato i retroscena del caso San Giuliano o il silenzio pressoché tombale con cui, anni fa, i media hanno taciuto sul comportamento vergognoso dei vertici della Rai tenuto nei confronti del giornalista siciliano Angelo Di Natale che, messo prima all’angolo e poi cacciato dall’azienda, fu tra i primi ad accendere i riflettori su alcuni aspetti del cosiddetto affaire Montante» rimarca ancora Milioni a margine dell’incontro che concludendo con uno sfogo amaro: «In questo momento uno dei rischi maggiori per il giornalismo è il fuoco amico. Ed è anche nei confronti di lorsignori che bisogna cominciare ad accendere i riflettori. Detto in altra maniera la libertà di stampa va difesa, anche e proprio dal fuoco amico» ribadisce la firma di Vicenzatoday.it.
Ma c’è in questo senso una possibile via d’uscita? «Gli operatori dell’informazione che hanno davvero a cuore questa professione debbono aprire un canale diretto con l’opinione pubblica. Perché da questo “cul de sac” non si esce senza una legge che riduca draconianamente il conflitto di interesse: purtroppo in Italia, tranne qualche eccezione, la maggior parte delle testate, grandi o piccole, sono riferibili a grossi raggruppamenti imprenditoriali o finanziari che difficilmente consentono a stampa e tv di loro proprietà di scoperchiare verità scomode. Tanto che – attacca Gianluca Prestigiacomo – siamo di fronte ad un vero e proprio cartello. Sappiamo bene che l’informazione come la conoscevamo fino agli albori dell’era digitale, cioè della fine degli anni ’90, ora non c’è più. Ma se si vuole ricostruire un minimo di tessuto sano, anche l’opinione pubblica deve essere conscia che c’è una posta in gioco: per cui gli stessi lettori debbono compiere delle scelte. E debbono cominciare a premiare chi lo merita. Se questo non avverrà allora, quando se ne sentirà il bisogno, saranno di coccodrillo, le lacrime di chi, dall’oggi al domani invocherà una maggiore incisività della stampa per poter comprendere meglio le sfide cruciali che ci attendono nei prossimi anni».