La lista di proscrizione anti-israeliana? Una bufala griffata La Russa che ha preso corpo anche per colpa di molti giornalisti

La lista di proscrizione anti-israeliana? Una bufala griffata La Russa che ha preso corpo anche per colpa di molti giornalisti

Alcuni giorni fa è divampata una polemica, giornalistica e non, sulla cosiddetta lista di proscrizione antiebraica pubblicata sul portale del Nuovo partito comunista. Le critiche sono state rivolte ad un documento intitolato «Sviluppare la denuncia e la lotta contro organismi e agenti sionisti in Italia» pubblicata il 22 agosto 2024. Il documento, contiene, tra le altre, un elenco di soggetti accusati di sposare in mala fede le ragioni israeliane specie nell’ambito del conflitto che in questi mesi ha causato migliaia e migliaia di innocenti vittime palestinesi: una situazione per la quale hanno cominciato a muoversi, anche se con prudenza, alcuni organismi internazionali.

Il punto è un altro però. Gran parte della stampa ha sposato volontariamente o meno in modo acritico le tesi del presidente del Senato Ignazio La Russa. Il quale ha definito quello scritto «un grave e inaccettabile attacco alla libertà di pensiero e una preoccupante minaccia alla sicurezza delle persone coinvolte» (Repubblica del 23 agosto 2024).

La deriva assunta dalla gran parte dei media italiani è preoccupante. Perché sarebbe bastato leggere, riportare o rendere disponibile anche con un semplice link (come questo) l’intero testo perché si materializzasse un’altra realtà.

Quel testo non è altro che un documento politico: scritto in un Italiano così così, impaginato peggio come un ciclostile anni ’70 mal riuscito. Condivisibile o meno: ma quel contenuto è tutt’altro che minaccioso: a partire dal piano penale. Come mai allora si è scatenata una polemica di questo tipo? Il punto dirimente è che in quella nota sono stati fatti nomi e cognomi di persone influenti e soprattutto sono state associate a soggetti economici di primaria importanza: mentre il tutto veniva messo in relazione con la politica sciagurata che il governo israeliano sta portando avanti nei confronti dei palestinesi. Che pur non esenti da colpe vivono in un regime di apartheid più o meno legalizzato figlio della malnata «Risoluzione 181 della Assemblea generale delle nazioni unite» votata, non alla unanimità, il 29 novembre del 1947.

Ma al di là delle questioni storiche e geopolitiche, l’aspetto dirimente è ben un altro. Chiunque è liberissimo di criticare, anche con l’invettiva, il documento del Nuovo partito comunista. Ciò che mette tristezza e rabbia è l’atteggiamento sdraiato del grosso dei giornalisti italiani che per piaggeria, connivenza, interesse, malafede o semplice sciatteria professionale, non è stato in grado nemmeno di leggere con un minimo di attenzione quello che alla fine altro non è che un passo di lotta politica.

Ironia della sorte, certa stampa, non andando a fare le pulci alle sciocchezze proferite sul tema da La Russa e da esponenti di molti altri partiti di colore politico il più diverso, ha gettato sì un bel po’ di altri semi perché prenda ancor più corpo un approccio lesivo della libertà di espressione. Perché l’espressione del proprio pensiero privata della possibilità di criticarlo è giustappunto il presupposto di una società ancor più deglutita dal pensiero unico.

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