Vicenza, 14 giugno 2022 – Ieri il mondo giudiziario veneto è andato un po’ in subbuglio quando l’associazione Movimentiamoci ha annunciato un presidio sotto il palazzo di giustizia di Vicenza (VicenzaToday). L’iniziativa, per la quale è attesa anche la presenza del deputato Stefania Ascari, uno degli esponenti più in vista della Commissione antimafia, arriva nella cornice del duplice delitto di mercoledì scorso mentre le polemiche che hanno travolto la giustizia veneta, ma pure il sistema della prevenzione, dopo la deflagrazione del caso Vasiljevic, non si sono placate: anche perché del caso si sta occupando il Guardasigilli.
Da anni però la giustizia veneta è al centro di polemiche di ogni tipo. Inerzie, doppiopesismo, manovre di corridoio e liason dangereuse, retroscena poco chiari di tanto in tanto fanno capolino. Ne ha parlato pochi giorni fa l’Espresso.
Tuttavia lo stillicidio delle novità è ancora più rapido della elaborazione del lutto o delle riflessioni più o meno serie attorno ai delitti che in vario modo sfuggono alla maglia volutamente slabbrata della giustizia tessuta da poteri solo in parte celati all’occhio della opinione pubblica. Oggi il Corriere del Veneto in pagina 15 dà la notizia di una povera marocchina che aveva trovato il coraggio di denunciare lo stupro subito nel Vicentino dal marito connazionale.
La denuncia è del 2011, ma la procura berica ha impiegato attorno ai dieci anni per rinviare a giudizio l’uomo che in questi giorni è stato prosciolto da ogni accusa perché il processo è morto per prescrizione.
Questo abominio sarà oggetto dell’interesse degli ispettori ministeriali?
Un decennio, poco più o poco meno, solo per concludere le indagini preliminari è davvero troppo. E casi del genere o simili si ripetono spesso nel Nordest.
Ora, un processo di questo tipo, chiamiamolo pure “diversamente veloce”, sarebbe stato lo stesso anche se la persona stuprata fosse stata la figlia del presidente di un tribunale, la figlia di un prefetto, la figlia del presidente di un raggruppamento confindustriale o la figlia di un componente della giunta regionale veneta?
Tralasciando per un momento il percorso sprint garantito, per esempio, alle querele nei confronti di giornalisti, commentatori, amministratori che si permettono di criticare chi si trova in cima alla piramide del potere, che cosa si può dire di quanto è capitato a questa disgraziata vicentina di origine marocchina?
La donna più dell’aggressione vera o presunta del suo stupratore, prima della violenza vera o presunta patita dal suo corpo e dalla sua anima, è sicuramente vittima della forma più odiosa della giustizia pervertita, ossia quella della giustizia di classe. Combattere quest’ultima è cosa seria: perché significa andare a scardinare non solo il presunto maschilismo di questo o quel pezzo della società. Significa andare a scardinare l’assetto primigenio del potere in una con le sue ramificazioni più o meno occulte nella società: indipendentemente che i gangli siano maschi o femmine perché il classismo è la matrice più abominevole della sperequazione sociale.
Ed è per questo che dopo la notizia shock cui il CorVeneto ha dedicato giustamente quasi una intera pagina, dalla società civile veneta come vicentina, in primis dai settori alto di gamma dei professionisti della lotta al sessismo non si è levato un solo lamento. Come, di converso, poco o nulla si è sentito da parte di chi critica gli immigrati per la scarsa frequentazione col rispetto della legge.
Piangere la sventura di una disgraziata in questo caso avrebbe comportato mettere in discussione quegli intoccabili e temuti rapporti di forza che nella malagiustizia spesso trovano il proprio fortino inviolabile e la piattaforma del dispiegamento dei loro piani.
Epperò un riflesso, una scintilla se si vuole, di questo stato di cose lo si può rintracciare in quanto capitato in piazza dei Signori a Vicenza. Il 10 giugno scorso una piccola folla, tra notabili di partito, amministratori e attivisti, equamente distribuiti lungo l’arcobaleno delle appartenenze politiche ha deciso correttamente di rendere omaggio alla memoria di Jenny Gabriela Serrano e di Lidija Miljkovic.
In quella occasione non sono mancate le strette di mano a Daniele Mondello, compagno della Miljkovic al momento dell’assassinio della 42enne. Una scena di vicinanza umana che era l’esatto opposto della scocciata indifferenza che animava dall’altra parte del plateatico dei dintorni della Basilica palladiana: lo struscio da aperitivo del popolo dello spritz.
Una platea sociale di venti-trentenni, molti in procinto ancora di uscire dalla nursery formato teen-ager che ne incelofanava volti e smartphone, nella quale nemmeno il più ramingo ha sentito il bisogno di andare a sbirciare che cosa dicessero dall’altra parte del colonnato. Questo è uno dei casi in cui la cosiddetta società civile, sempre che questa definizione possa essere attagliata agli adepti del divertimento annoiato che flottano in piazza Erbe e dintorni, si è dimostrata peggiore della politica.
La quale almeno il suo minimo sindacale stavolta lo ha fatto e come. Da questo punto di vista Vicenza in una con i suoi cosiddetti corpi intermedi più o meno bolsamente appannati e appagati deve farsi un bell’esamino di coscienza. Giusto un anno fa la risposta della «provinciale» Noventa fu ben diversa in termini di partecipazione e vicinanza (VicenzaToday 16 settembre 2021) per denunciare l’omicidio di Rita Amenze e Alessandra Zorzin avvenuto quest’ultimo a Montecchio Maggiore.
Lo stesso dicasi, in circostanze diverse ma non troppo, per la fiaccolata organizzata a Arzignano per la morte della studentessa Angela Vignaga ammazzata da un pirata della strada (VicenzaToday 20 agosto 2020) nella frazione di Castello.
Il cinismo della Vicenza da bere per carità è più o meno rintracciabile, a tasso variabile, in ogni bar di aggregazione del Vicentino, del Veneto e del Belpaese. Ma se i picchi della sindrome da «Vita smeralda» si registrano in certi contesti coloro che ogni giorno gridano alla disgregazione dei corpi sociali qualche domanda devono cominciare a porsela: nel senso autentico del termine però.
È l’effetto tangible del pensiero unico che ha intasato le menti dei vicentini. Ma omicidi imprevisti, siccità, e esaurimento dell’acqua potabile, segni di un degrado che non è solo climatico ma è soprattutto culturale, non sono ignorabili nemmeno con gli spriz. VA PENSIERO!