Venezia, 7 dicembre 2020 – “Un evento meteorologico per certi versi simile al 2010, con precipitazioni nevose abbondanti, seguite da un rialzo termico e successive piogge con forti venti sciroccali, hanno messo in ginocchio la nostra Regione. I danni si contano dalla montagna, alla pianura, al mare. E poteva essere un vero disastro. Le opere realizzate a monte, come i due bacini di laminazione messi in funzione, hanno scongiurato una nuova alluvione a Vicenza dove il Bacchiglione ha superato i 5 m. A Venezia Il Mose ha evitato un’altra acqua alta eccezionale. Tutto risolto allora? No, qualcosa è stato fatto, questo è innegabile, ma molto è ancora da fare”.
A dirlo sono Tatiana Bartolomei e Niccolò Iandelli, rispettivamente presidente e segretario dell’Ordine dei geologi del Veneto.
“Sul rischio idrogeologico si deve strutturare un piano regionale che coinvolga gli attori principali (professionisti tecnici, Università ed Enti) e consideri non solo l’idraulica dei corsi d’acqua ma l’intera struttura idrogeologica costituita non solo dal corso d’acqua in senso stretto ma dal territorio che lo circonda – continuano -. La tutela parte da qui. Non è più sufficiente innalzare argini, costruire bacini di laminazione per trattenere l’acqua, ma OLTRE a queste opere di sicura importanza si deve cambiare la cultura della prevenzione, dalle piccole alle grandi opere. Per questo serve un cambiamento di rotta”.
“Da anni reclamiamo come serva un controllo capillare del territorio – aggiungono -, scarsi se non quasi assenti i tecnici che abbiano una conoscenza del territorio impiegati nei comuni, ancor meno nelle Provincie e in Regione. Da tempo stiamo assistendo, in particolare negli uffici periferici e operativi, del mancato ricambio generazionale, frutto di una politica sempre più condizionata e legata alla sola disponibilità di finanziamenti solo in occasione dell’ennesimo “stato di emergenza”. Ciò provoca un susseguirsi di emergenze senza lasciar spazio ad una vera e propria azione di pianificazione idrogeologica che sia strutturale e pluriennale”.
“Sempre più spesso la progettazione urbanistica, architettonica e anche strutturale non considera l’inserimento di un’opera nel territorio, l’impatto che potrebbe avere sulla circolazione idrica sotterranea e superficiale, sulla stabilità dei versanti e in pianura nella regimazione di fossati e canali – evidenziano i geologi -. Come categoria diciamo da anni che bisogna cambiare, non si può sempre ragionare in un clima di emergenza, servono fondi da investire nella prevenzione idrogeologica, intesa come capillare conoscenza della risposta che un territorio può avere ad eventi estremi, questi permetterebbero di rimettere in moto l’economia con una sicura ricaduta occupazione ed evitare poi di spendere ingenti risorse per pagare i danni causati. Imparare ad essere resilienti significa convivere con questi eventi e saperli gestire, una strada che abbiamo iniziato a percorrere, con piccoli e timidi passi, ma che ha ancora bisogno di supporto: snellimento delle procedure burocratiche, velocità di risposta del sistema agli eventi, innovazione nella visione della gestione del territorio”.
“Le condizioni climatiche che ormai sempre più frequentemente si presentano sono sempre più veloci della lenta e farraginosa macchina, non ottimizzata, della prevenzione del rischio idrogeologico – concludono -. Proprio ora che si parla di come investire i fondi europei va fatto un piano sostenibile, e quale può essere l’investimento più sostenibile di quello messo in campo per attenuare il rischio idrogeologico di un territorio? Un territorio sicuro, dal punto di vista idrogeologico ma anche sismico, è sede di un’economia e di investimenti sicuri”.
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